DEI FIDANZAMENTI E DEL MATRIMONIO.
Promemoria relativo ai fidanzamenti, ecc., § 2.
LVIII. La proposizione la quale stabilisce che i fidanzamenti propriamente detti sono un atto meramente civile e preparatorio alla celebrazione del matrimonio, e che i medesimi soggiacciono interamente alle leggi civili;
Come se un atto che dispone ad un sacramento non sia soggetto, per questo titolo, al diritto della Chiesa;
FALSA, LESIVA DEL DIRITTO DELLA CHIESA QUANTO AGLI EFFETTI PROVENIENTI ANCHE DAI FIDANZAMENTI IN VIRTÙ DELLE SANZIONI CANONICHE, DEROGANTE ALLA DISCIPLINA STABILITA DALLA CHIESA.
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Del Matrimonio, §§§ 7, 11, 12.
LIX. La dottrina del Sinodo la quale asserisce che "spetta, almeno in origine, alla suprema autorità civile stabilire per il contratto matrimoniale degli impedimenti tali da renderlo nullo, e che si chiamano dirimenti: perché il diritto originario è detto essere essenzialmente connesso al diritto di dispensare; aggiungendo che la Chiesa ha potuto, grazie all’assenso o alla connivenza dei Principi, fissare giustamente degli impedimenti che dirimano lo stesso contratto matrimoniale";
Come se la Chiesa non abbia sempre potuto, né possa per proprio diritto, stabilire nei matrimoni dei cristiani impedimenti che non solo impediscano il matrimonio, ma anche lo rendano nullo riguardo al vincolo, e che obblighino anche i cristiani dei territori degli infedeli; e negli stessi dispensare;
DISTRUTTIVA DEI CANONI 3, 4, 9, 12 DELLA SESS. 24 DEL CONCILIO DI TRENTO; ERETICA.
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Dal citato promemoria relativo ai fidanzamenti, ecc., § 10.
LX. Similmente la richiesta del Sinodo diretta alla potestà civile, affinché "tolga dal numero degl’impedimenti la parentela spirituale, e quello detto dell’onestà pubblica, l’origine dei quali si trova nella Collezione di Giustiniano" e perché "restringa l’impedimento dell’affinità e della parentela proveniente da qualunque lecita o illecita unione al quarto grado secondo la computazione civile per la linea laterale ed obliqua, in modo tale da non lasciare speranza alcuna di ottenere dispensa";
In quanto attribuisce alla civile potestà il diritto sia di abolire, sia di ridurre gl’impedimenti stabiliti o approvati dall’autorità della Chiesa; così in quanto suppone che la Chiesa possa essere privata dalla potestà civile del suo diritto di dispensare sugl’impedimenti da essa stessa stabiliti o approvati;
SOVVERSIVA DELLA LIBERTÀ E DELLA POTESTÀ DELLA CHIESA, CONTRARIA AL TRIDENTINO, DERIVATA DAL PRINCIPIO ERETICALE SOPRA CONDANNATO.
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DEGLI UFFICI, ESERCIZI, ISTITUZIONI SPETTANTI AL CULTO RELIGIOSO, E PRIMIERAmentE DELL’ADORARE L’Umanità DI CRISTO.
Della Fede, § 3.
LXI. La proposizione la quale dice che "adorare direttamente l’Umanità di Cristo, e più ancora qualche parte di essa, sarebbe sempre un onore divino dato alla Creatura";
In quanto con questa parola direttamente intenda riprovare il culto di adorazione che i fedeli dirigono alla Umanità di Cristo; come se tale adorazione, con cui si adora l’Umanità e la stessa Carne vivifica di Cristo, non già per se stessa e come nuda carne, ma come unita alla Divinità, fosse un onore Divino dato alla Creatura, e non piuttosto una e medesima adorazione, con cui si adora il Verbo Incarnato con la propria Carne di Lui (Dal Concil. C. P. V. Gen. can. 9);
FALSA, CAPZIOSA, DETRAENTE, ED INGIURIOSA DEL CULTO PIO DOVUTO ALL’UMANITÀ DI CRISTO, PRESTATO AD ESSA DAI FEDELI, E DA PRESTARSI.
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Della preghiera, § 10.
LXII. La dottrina la quale rigetta la devozione verso il sacratissimo Cuore di Gesù fra le devozioni che definisce nuove, erronee, o almeno pericolose;
Intesa questa devozione come è stata approvata dall’Apostolica Sede;
FALSA, TEMERARIA, PERNICIOSA, OFFENSIVA DELLE PIE ORECCHIE, INGIURIOSA VERSO LA SEDE APOSTOLICA.
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Della Preghiera, § 10, Appendice n. 32.
LXIII. Similmente nel fatto che redarguisce gli adoratori del Cuore di Gesù, per il motivo che non riflettano non potersi adorare con culto di latria la santissima Carne di Cristo, o porzione di questa, o anche tutta l’Umanità separata o recisa dalla Divinità;
Come se i fedeli adorassero il Cuore di Gesù separato o reciso dalla Divinità, mentre lo adorano come Cuore di Gesù, cioè Cuore della Persona del Verbo, al quale è inseparabilmente unito come l’esangue Corpo di Cristo fu adorabile nel sepolcro durante il triduo della morte senza separazione o recisione;
CAPZIOSA, INGIURIOSA DEI FEDELI ADORATORI DEL CUORE DI CRISTO.
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DELL’ORDINE PRESCRITTO NEL FARE GLI ESERCIZI DI PIETÀ.
Della Preghiera, § 14, Appendice n. 34.
LXIV. La dottrina la quale definisce generalmente come superstiziosa "qualunque efficacia che si fissi nel numero determinato di preghiere e di pie salutazioni";
Come se dovesse stimarsi superstiziosa l’efficacia che si desume non dal numero considerato in se stesso, ma dalla disposizione della Chiesa, che prescrive un certo determinato numero di preghiere o azioni esterne per conseguire le indulgenze, per adempiere le penitenze, e generalmente per esercitare rettamente ed ordinatamente il culto sacro e religioso;
FALSA, TEMERARIA, SCANDALOSA, PERNICIOSA, INGIURIOSA CONTRO LA PIETÀ DEI FEDELI, DEROGANTE ALL’AUTORITÀ DELLA CHIESA, ERRONEA.
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Della Penitenza, § 10.
LXV. La proposizione la quale dice che "lo strepito irregolare di quelle pratiche nuove che si chiamano Esercizi o Missioni... forse non arriva mai o giunge ben di rado a produrre una conversione completa, e quegli atti esteriori, che apparvero di commozione, non furono che lampi passeggeri di una naturale agitazione";
TEMERARIA, STONATA, PERNICIOSA, INGIURIOSA AL COSTUME PIAMENTE E SALUTEVOLMENTE PRATICATO NELLA CHIESA, E FONDATO SULLA PAROLA DI DIO.
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del modo di congiungere la voce del popolo con la voce della chiesa nelle pubbliche preghiere.
Della Preghiera, § 24.
LXVI. La proposizione la quale asserisce che "sarebbe un operare contro la pratica apostolica e contro i disegni di Dio il non procurare al popolo i mezzi più facili per unire la sua voce a quella di tutta la Chiesa":
Qualora si riferisca all’uso della lingua volgare da introdursi nelle preci liturgiche;
FALSA, TEMERARIA, TURBATIVA DELL’ORDINE PRESCRITTO PER LA CELEBRAZIONE DEI MISTERI, FACILMENTE PRODUTTRICE DI MOLTI MALI.
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DELLA LETTURA DELLA SACRA SCRITTURA.
Dalla nota finale del decreto della Grazia.
LXVII. La dottrina la quale asserisce che dalla lettura delle Sacre Scritture "non iscusa se non la vera impotenza", soggiungendo che è troppo sensibile l’oscuramento che nacque sulle primarie verità della Religione dalla trascuratezza di questo precetto;
FALSA, TEMERARIA, TURBATRICE DELLA QUIETE DELLE ANIME, ALTRA VOLTA CONDANNATA IN QUESNEL.
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DEL LEGGERE PUBBLICAMENTE NELLA CHIESA I LIBRI CONDANNATI.
Della Preghiera, § 29.
LXVIII. La lode con la quale il Sinodo raccomanda caldamente le riflessioni del Quesnel sopra il nuovo Testamento, ed altre opere, sebbene condannate, di altri autori che accreditano gli errori del Quesnel e le propone ai parroci affinché, dopo le altre funzioni, le leggano al popolo, ciascuno nella propria parrocchia, come ricche di solidi principi di Religione;
FALSA, SCANDALOSA, TEMERARIA, SEDIZIOSA, INGIURIOSA DELLA CHIESA, FOMENTATRICE DELLO SCISMA E DELL’ERESIA.
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DELLE SACRE IMMAGINI.
Della Preghiera, § 17.
LXIX. La prescrizione la quale generalmente e indistintamente indica fra le immagini da rimuovere dalla Chiesa, in quanto costituiscono occasione di errore per gl’incolti, quelle di una Trinità inintelligibile;
PER LA SUA GENERALITÀ TEMERARIA E CONTRARIA AL PIO COSTUME PRATICATO NELLA CHIESA, QUASI CHE NON VI SIANO IMMAGINI DELLA SANTISSIMA TRINITÀ COMUNEMENTE APPROVATE E DA PERMETTERSI CON SICUREZZA (Breve Sollicitudini nostrae di Pio VI dell’anno 1745).
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LXX. Parimenti la dottrina e la prescrizione generalmente riprovante ogni culto speciale, che i fedeli sono soliti tributare particolarmente a qualche immagine ricorrendo ad una piuttosto che a un’altra;
TEMERARIA, PERNICIOSA, INGIURIOSA AL PIO COSTUME PRATICATO NELLA CHIESA, ED A QUELL’ORDINE DI PROVVIDENZA COL QUALE "Iddio non ha voluto che queste cose accadessero in tutte le memorie dei Santi, distribuendo Egli i proprii doni a ciascuno come vuole" (S. Agostino, Ep. 78, Clero, Senioribus, et universae Plebi Ecclesiae Hipponen.).
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LXXI. Parimenti quella prescrizione la quale proibisce che le immagini, specialmente della Beata Vergine, si distinguano con altri titoli, fuorché con le denominazioni che siano analoghe ai Misteri dei quali si fa espressa menzione nella sacra Scrittura;
Quasi che non si potessero dare alle immagini altre pie denominazioni, le quali anche nelle stesse pubbliche preci la Chiesa approva e raccomanda;
TEMERARIA, OFFENSIVA DELLE PIE ORECCHIE, INGIURIOSA ALLA VENERAZIONE SPECIALMENTE DOVUTA ALLA BEATA VERGINE.
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LXXII. Parimenti quella la quale vuole che si estirpi come abuso il costume di conservare velate certe immagini;
TEMERARIA, CONTRARIA AL COSTUME PRATICATO NELLA CHIESA E INTRODOTTO PER FAVORIRE LA PIETÀ DEI FEDELI.
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DELLE FESTE.
Promemoria sulla riforma delle feste, § 3.
LXXIII. La proposizione la quale afferma che l’istituzione delle nuove feste ha avuto origine dalla trascuratezza nell’osservare le antiche, e dalle errate conoscenze della natura e del fine delle medesime;
FALSA, TEMERARIA, SCANDALOSA, INGIURIOSA DELLA CHIESA, FAVOREVOLE ALLE MALDICENZE DEGLI ERETICI CONTRO I GIORNI FESTIVI CHE SI CELEBRANO NELLA CHIESA.
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Ibidem, § 8.
LXXIV. La deliberazione del Sinodo circa il trasferimento nel giorno di domenica delle feste istituite nel corso dell’anno, essendo certo che compete al Vescovo la disciplina ecclesiastica relativa a materie meramente spirituali; conseguentemente necessita abrogare anche il precetto di ascoltare la Messa nei giorni nei quali lo stesso precetto è ancora in vigore per precedenti leggi della Chiesa; e necessita anche trasferire nell’avvento, con decisione del Vescovo, i digiuni da osservarsi durante l’anno per precetto della Chiesa;
In quanto afferma essere lecito al Vescovo, per proprio diritto, trasferire i giorni prescritti dalla Chiesa per la celebrazione delle feste e dei digiuni, o di abrogare il precetto ingiunto di ascoltare la Messa;
PROPOSIZIONE FALSA, LESIVA DEL DIRITTO DEI CONCILII GENERALI E DEI SOMMI PONTEFICI, SCANDALOSA, FAVOREVOLE ALLO SCISMA.
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DEI GIURAMENTI.
Promemoria circa la riforma dei giuramenti, § 5.
LXXV. La dottrina la quale dice che nei tempi felici della Chiesa nascente i giuramenti sembrarono talmente alieni dagl’insegnamenti del Divino Maestro e dall’aurea semplicità Evangelica, che "lo stesso giurare senza una estrema ed indispensabile necessità sarebbe stato considerato come un atto irreligioso, indegno di un cristiano"; inoltre, "che l’ininterrotta serie dei Padri dimostra che il sentimento comune era di considerare i giuramenti come proscritti"; pertanto condanna i giuramenti che la curia ecclesiastica, modellandosi sulla giurisprudenza feudale, ha adottati nelle investiture e perfino nelle sacre Ordinazioni dei Vescovi; e stabilisce perciò doversi implorare dal potere secolare una legge per l’abolizione dei giuramenti che si esigono anche nelle curie ecclesiastiche per essere ammessi a cariche, uffici e generalmente in qualunque atto curiale;
FALSA, INGIURIOSA ALLA CHIESA, LESIVA DEL DIRITTO ECCLESIASTICO, SOVVERSIVA DELLA DISCIPLINA INTRODOTTA E APPROVATA DAI CANONI.
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DELLE CONFERENZE ECCLESIASTICHE.
Delle conferenze ecclesiastiche, § 1.
LXXVI. Il modo oltraggioso con cui il Sinodo tratta la Scolastica, come quella che "aperse la strada all’invenzione di nuovi sistemi fra sé discordanti sulle verità più preziose, e infine condusse al probabilismo ed al lassismo";
In quanto attribuisce alla Scolastica i vizi dei singoli, i quali poterono abusare o abusarono della medesima;
FALSA, TEMERARIA, INGIURIOSA A UOMINI SANTISSIMI E A DOTTORI, I QUALI CON GRAN VANTAGGIO DELLA RELIGIONE CATTOLICA COLTIVARONO LA SCOLASTICA, FAVOREVOLE ALLE OSTILI MALDICENZE DEGLI ERETICI CONTRO LA MEDESIMA.
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Ibidem.
LXXVII. Parimenti in quanto soggiunge che "il mutamento della forma del governo ecclesiastico, facendo dimenticare ai Ministri della Chiesa i loro diritti, che sono nel tempo stesso i loro obblighi, terminò col far perdere le idee primitive del Ministero Ecclesiastico e della sollecitudine pastorale";
Quasi che per il cambiamento del governo congruente alla disciplina stabilita, ed approvato nella Chiesa, si sia potuto dimenticare e perdere la primitiva nozione del ministero ecclesiastico o della pastorale sollecitudine;
PROPOSIZIONE FALSA, TEMERARIA, ERRONEA.
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Ibidem, § 4.
LXXVIII. La prescrizione del Sinodo circa l’ordine di trattare le cose nelle conferenze, secondo la quale, dopo aver premesso che si deve distinguere "in ciascun articolo ciò che appartiene alla Fede ed all’essenziale della Religione da ciò che è materia di disciplina", soggiunge "che in questa stessa (disciplina) si distinguerà ciò che è necessario o utile per mantenere i fedeli nello spirito da ciò che è inutile e tendente a gravare i fedeli medesimi di un peso che non conviene alla libertà dei figliuoli della nuova alleanza; e molto più da ciò che è pericoloso o nocivo, perché inducente alla superstizione e al materialismo";
In quanto per la generalità delle parole comprenda e assoggetti all’esame prescritto anche la disciplina costituita e approvata dalla Chiesa, quasi che la Chiesa, la quale è retta dallo spirito di Dio, potesse stabilire una disciplina non solamente inutile e più gravosa di quello che comporti la libertà cristiana, ma addirittura pericolosa, nociva, inducente nella superstizione e nel materialismo;
FALSA, TEMERARIA, SCANDALOSA, PERNICIOSA, OFFENSIVA DELLE PIE ORECCHIE, INGIURIOSA ALLA CHIESA E ALLO SPIRITO DI DIO, DAL QUALE LA CHIESA STESSA È REGOLATA; PER LO MENO ERRONEA.
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IMPROPERII CONTRO ALCUNE OPINIONI FINO AD ORA DISCUSSE NELLE SCUOLE CATTOLICHE.
Orazione al Sinodo, § 2.
LXXIX. L’asserzione la quale con maldicenze e contumelie se la prende contro le opinioni discusse nelle Scuole cattoliche, e circa le quali la Sede Apostolica non ha ritenuto per ora di definire o di pronunciarsi;
FALSA, TEMERARIA, INGIURIOSA ALLE SCUOLE CATTOLICHE, DEROGANTE ALLA OBBEDIENZA DOVUTA ALLE COSTITUZIONI APOSTOLICHE.
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DELLE TRE REGOLE POSTE DAL SINODO QUALE FONDAMENTO PER LA RIFORMA DEI REGOLARI.
Promemoria per la Riforma dei Regolari, § 9.
LXXX. La regola prima, la quale stabilisce generalmente e indistintamente "che lo stato Regolare o Monastico è di natura sua incompatibile con la cura delle anime e con gli esercizi della vita pastorale, e perciò incapace di far parte della gerarchia Ecclesiastica senza urtare direttamente i principi della stessa vita monastica" ;
FALSA, PERNICIOSA, INGIURIOSA AI PADRI SANTISSIMI DELLA CHIESA E AI PRELATI CHE ASSOCIARONO GL’ISTITUTI DELLA VITA REGOLARE CON GL’IMPIEGHI DELL’ORDINE CLERICALE; CONTRARIA AL PIO, ANTICO, APPROVATO COSTUME DELLA CHIESA, E ALLE SANZIONI DEI SOMMI PONTEFICI. "Quasi che i Monaci, i quali per la severità dei costumi e per l’istituzione santa della vita e della fede sono commendabili", non solo opportunamente e senza offesa della Religione, ma anche con molto vantaggio della Chiesa "vengano aggregati agli Ufficii Clericali" (S. Siricio, Epist. Decret. ad Himerium Tarracon., cap. 13).
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LXXXI. Parimenti in ciò che soggiunge, cioè che i Santi Tommaso e Bonaventura si comportarono in tal maniera nel difendere gl’Istituti dei mendicanti contro uomini sommi, che nelle loro difese si sarebbe desiderato meno fuoco e più precisione;
SCANDALOSA, INGIURIOSA NEI CONFRONTI DEI SANTISSIMI DOTTORI, FAVOREVOLE ALLE EMPIE CONTUMELIE DI AUTORI CONDANNATI.
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LXXXII. La regola seconda, per la quale "la molteplicità degli Ordini e la diversità devono naturalmente portare al disordine ed alla confusione"; e ciò che premette al § 4, "che i fondatori dei Regolari (i quali vennero dopo le istituzioni monastiche) accrescendo Ordini ad Ordini, Riforme a Riforme, altro non fecero che dilatare maggiormente la causa primaria del male";
Intendendo per Ordini ed Istituti quelli approvati dalla Santa Sede, quasi che la distinta varietà dei pii uffici, ai quali i distinti Ordini sono addetti, debba di sua natura produrre perturbazione e confusione;
FALSA, CALUNNIOSA, INGIURIOSA CONTRO I SANTI FONDATORI E I LORO FEDELI ALUNNI, NONCHÉ CONTRO GLI STESSI SOMMI PONTEFICI.
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LXXXIII. La regola terza con la quale, dopo aver premesso che "un piccolo Corpo che vive nella società civile senza quasi farne parte, e fissa una piccola monarchia nello stato, è sempre un Corpo pericoloso", e accusa sotto questo nome i privati Monasteri uniti col vincolo del comune Istituto, particolarmente sotto un Capo, come altrettante speciali monarchie pericolose e nocive alla Repubblica civile;
FALSA, TEMERARIA, INGIURIOSA CONTRO GL’ISTITUTI REGOLARI APPROVATI DALLA SANTA SEDE A VANTAGGIO DELLA RELIGIONE, FAVOREVOLE ALLE MALDICENZE E ALLE CALUNNIE DEGLI ERETICI CONTRO I MEDESIMI ISTITUTI.
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DEL SISTEMA, OSSIA DEL COMPLESSO DELLE DISPOSIZIONI COMPILATO SECONDO LE SOPRADDETTE REGOLE, E COMPRESO NEGLI OTTO SEGUENTI ARTICOLI PER LA RIFORMA DEI REGOLARI.
§ 10.
LXXXIV. Artic. 1. Non dovrebbe esistere nella Chiesa che un solo Ordine. Per gratitudine e per la sodezza del piano si dovrebbe scegliere la Regola di San Benedetto. Il metodo di vita condotto presso Porto Reale fornirebbe indicazioni per aggiungervi o toglierne ciò che forse non converrebbe nelle presenti circostanze.
2. Gli appartenenti a questo sistema non dovrebbero avere alcuna ingerenza nella gerarchia ecclesiastica, perciò non avranno Chiese pubbliche, e non saranno Promossi agli Ordini Sacri o, al più, uno o due di essi saranno ordinati come Curati o Cappellani del Monastero; gli altri rimarranno nello stato di semplici laici.
3. Ogni città non dovrebbe avere che un solo Monastero, situato fuori di essa nei luoghi più solitari e lontani.
4. Tra le occupazioni della vita monastica dovrebbe essere assolutamente dedicata una parte al lavoro manuale, lasciando per altro un conveniente tempo alla salmodia e, per chi volesse, allo studio. La salmodia dovrebbe essere moderata perché la soverchia lunghezza genera precipitazione, rincrescimento e dissipazione. Quanto più crebbero le salmodie, le orazioni e le preci si diminuirono in ogni tempo in proporzione il fervore e la santità dei Regolari.
5. Non si dovrebbe ammettere alcuna distinzione di Monaci da coro o da servizio; questa disuguaglianza suscitò in ogni tempo gravissime liti e discordie, e bandì lo spirito di carità dalle comunità di Regolari.
6. Il voto di permanenza perpetua non dovrà mai essere consentito. Gli antichi Monaci non lo conobbero, eppure furono la consolazione della Chiesa e l’ornamento del Cristianesimo. I voti di castità, di povertà, di ubbidienza non si ammetteranno come regola comune e stabile, ma chiunque vorrà farli, o tutti o in parte, dovrà chiedere consiglio e licenza al Vescovo, il quale però non permetterà giammai che siano perpetui, né passeranno l’anno; si darà soltanto la facoltà di rinnovarli, ma alle stesse condizioni.
7. Il Vescovo potrà effettuare la più ampia ispezione sulla loro condotta, sui loro studii, sul loro avanzamento nella cristiana perfezione; a lui spetterà l’ammettere o lo scacciare i singoli, avendo tuttavia ascoltato in precedenza coloro che convivono nel monastero.
8. I Regolari degli Ordini che tuttora sussistono potrebbero essere ammessi nel monastero, benché Sacerdoti, qualora desiderassero attendere nel silenzio e nel ritiro alla propria santificazione. In questo caso si potrebbe dispensare alla regola generale stabilita al numero secondo, in modo tale, però, che anche i Sacerdoti non avessero altro metodo di vita differente dagli altri, né si permetterà loro di celebrare, se non coerentemente alla regola sopra espressa, cioè che non vi sia più d’una, o al più due Messe per giorno; gli altri Sacerdoti dovranno essere contenti di concelebrare con la comunità.
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SIMILMENTE PER LA RIFORMA DELLE MONACHE.
§ 11. Non si ammetteranno voti perpetui fino a quaranta o quarantacinque anni. Dette monache si applicheranno in cose concrete e specialmente nel lavoro, e si allontaneranno sopra ogni cosa dalla carnale spiritualità, che costituisce l’occupazione della maggior parte di loro. Sarebbe solo a vedersi, se per esse convenisse lasciare il monastero nella città.
SISTEMA EVERSIVO DELLA DISCIPLINA VIGENTE, SIN DAI TEMPI ANTICHI APPROVATA E APPLICATA; PERNICIOSO, OPPOSTO ED INGIURIOSO VERSO LE COSTITUZIONI APOSTOLICHE, ED ALLE DECISIONI DI PIÙ CONCILII ANCHE GENERALI, E SPECIALMENTE DEL TRIDENTINO; FAVOREVOLE ALLE MALDICENZE ED ALLE CALUNNIE DEGLI ERETICI CONTRO I VOTI MONASTICI E GL’ISTITUTI REGOLARI ADDETTI AD UNA PIÙ STABILE PROFESSIONE DEI CONSIGLI EVANGELICI.
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DEL CONCILIO NAZIONALE DA CONVOCARSI.
Promemoria per la convocazione di un Concilio Nazionale, § 1.
LXXXV. La proposizione la quale dice che basta una qualche cognizione della storia ecclesiastica per dover ammettere che la convocazione di un Concilio nazionale è una delle strade canoniche per mettere fine nella Chiesa delle rispettive Nazioni alle controversie in materia di Religione;
Intesa nel senso che le controversie spettanti alla Fede, ed ai costumi nate in qualsivoglia Chiesa possano terminare con giudizio inconfutabile del Concilio nazionale, quasi che al Concilio nazionale competesse l’impossibilità di sbagliare nelle questioni di Fede e dei costumi;
SCISMATICA, ERETICA.
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Comandiamo dunque a tutti i fedeli dell’uno e dell’altro sesso che non presumano di pensare, insegnare e parlare intorno alle dette proposizioni e dottrine contro ciò che viene dichiarato in questa Nostra Costituzione, così che chiunque, congiuntamente o separatamente, insegnerà, difenderà, pubblicherà quelle, o alcuna di quelle, o anche ne tratterà disputando in pubblico o in privato, se non per combatterle, soggiaccia sul fatto stesso, senz’altra dichiarazione, alle censure ecclesiastiche e alle altre pene stabilite dal diritto contro chi commette simili cose.
Del resto con questa espressa riprovazione delle predette proposizioni e dottrine, non intendiamo approvare le altre cose contenute nel medesimo libro, essendo state particolarmente osservate in esso molte proposizioni e dottrine o affini a quelle che sono state condannate in precedenza, o tali che mostrano tanto un temerario disprezzo della comune dottrina e della disciplina approvate, quanto uno spirito sommamente avverso ai Romani Pontefici e all’Apostolica Sede.
Due cose poi giudichiamo degne di essere specialmente notate: che, a proposito del mistero della Santissima Trinità, § 2 del decreto della Fede, furono espresse nel Sinodo, se non con animo cattivo, certamente con imprudenza; esse possono facilmente trarre in inganno particolarmente gl’impreparati e gl’incauti.
La prima: dopo aver giustamente premesso che Iddio nel suo Essere rimane uno e semplicissimo, soggiunge subito che lo stesso Dio si distingue in tre Persone; pertanto si allontana sconsideratamente dalla formula comune e adottata nelle istituzioni della dottrina cristiana: formula nella quale invero si dichiara Dio uno in tre Persone distinte, e non distinto in tre Persone. Con il mutamento delle parole della formula vigente, s’insinua il pericolo dell’errore, cioè che si reputi distinta nelle Persone quell’Essenza Divina che la Fede cattolica confessa talmente una in Persone distinte, che al tempo stesso la professa pienamente indistinta in sé.
L’altra: trattando delle medesime tre Persone Divine, insegna che secondo le loro proprietà personali – e incomunicabili per parlare più esattamente – sono descritte e denominate come Padre, Verbo e Spirito Santo, come se fosse meno proprio ed esatto l’appellativo di Figlio consacrato da tanti luoghi della Scrittura, dalla voce stessa del Padre discesa dal Cielo e dalla nuvola, nonché dalla formula del Battesimo prescritta da Cristo e da quella insigne testimonianza con la quale Pietro fu chiamato beato dallo stesso Cristo, né si dovrebbe dimenticare che l’Angelico Maestro (San Tommaso, parte I, quest. 34, articoli 2 e 3), istruito da Agostino, insegnò anch’egli che "nel sostantivo Verbo è inclusa la stessa proprietà del nome Figlio", in quanto Agostino afferma che "dicendo Verbo è come dire Figlio" (Sant’Agostino, Della Trinità, lib. 7, cap. 2).
Né va passata sotto silenzio quell’insigne temerità piena di frode usata dal Sinodo, il quale ha avuto l’ardire non solo di esaltare con profusissime lodi la dichiarazione dell’Assemblea Gallicana dell’anno 1682, già da tempo respinta dall’Apostolica Sede, ma per conciliarle maggiore autorità, di inserirla insidiosamente nel decreto intitolato Della Fede, di adottare palesemente gli articoli in essa contenuti, e con la pubblica e solenne professione di questi articoli di suggellare quelle cose che qua e là s’insegnano nello stesso decreto. Onde non soltanto Noi abbiamo un assai più grave motivo di dolerci del Sinodo di quanto non ebbero i Nostri Predecessori di dolersi di quei Comizi, ma si fa ancora una non leggera ingiuria alla stessa Chiesa Gallicana che il Sinodo l’abbia stimata degna di essere chiamata a patrocinare con la sua autorità gli errori dei quali è infetto quel decreto.
Pertanto, siccome gli Atti dell’Assemblea Gallicana, tosto che uscirono alla luce, furono riprovati, cassati, dichiarati nulli ed irriti, in forza del loro apostolico ministero dal Nostro Venerabile Predecessore Innocenzo XI con sua lettera in forma di Breve dell’11 aprile 1682, e poi più espressamente da Alessandro VIII con la Costituzione Inter multiplices del 4 agosto 1690, così molto più fortemente la pastorale sollecitudine esige da Noi che la recente adozione nel Sinodo di tali Atti, infetti di tanti vizi, sia da Noi riprovata e condannata come temeraria, scandalosa e, particolarmente dopo i decreti emanati dai Nostri Predecessori, sommamente ingiuriosa nei confronti di questa Sede Apostolica; così come con questa Nostra presente Costituzione la riproviamo e condanniamo, e vogliamo che si tenga per riprovata e condannata.
A questo genere di frode appartiene il fatto che il Sinodo, in questo stesso decreto sulla Fede, riproduce molti articoli che i Teologi della facoltà di Lovanio sottoposero al giudizio di Innocenzo XI ed anche altri dodici presentati a Benedetto XIII dal Cardinale di Noailles, e non ha avuto difficoltà a resuscitare dal riprovato secondo Concilio di Utrecht la vana e antica impostura, diffondendola temerariamente fra il popolo con queste parole : essere notissimo all’Europa tutta che quegli articoli furono in Roma assoggettati ad un severissimo esame, e ne uscirono non solamente immuni da qualunque censura, ma addirittura furono raccomandati dai sopra lodati Pontefici. Di tale asserita raccomandazione, peraltro, non solo non esiste alcun documento autentico, ché le si oppongono gli Atti dell’esame conservati nei registri della Nostra Suprema Inquisizione, dai quali risulta solamente che sopra di essi non fu proferito alcun giudizio.
Per questi motivi, pertanto, con autorità Apostolica, a tenore della presente Costituzione, proibiamo e condanniamo questo libro intitolato Atti e decreti del Concilio diocesano di Pistoia dell’anno 1785. In Pistoia per Atto Bracali Stampatore Vescovile. Con approvazione, sia sotto questo o qualunque altro titolo stampato finora, o da stamparsi ovunque, ed in qualunque idioma, con qualunque edizione o versione, come anche proibiamo e interdiciamo tutti gli altri libri in difesa del suddetto, o della sua dottrina, tanto manoscritti quanto, forse, già stampati o (che Dio non voglia!) da stamparsi; ne proibiamo la lettura, la trascrizione, la ritenzione e l’uso a tutti e ai singoli fedeli, sotto pena di scomunica da incorrersi ipso facto dai contravventori.
Comandiamo inoltre ai Venerabili Fratelli Patriarchi, Arcivescovi e Vescovi, ed agli altri Ordinarii dei luoghi, agl’Inquisitori dell’eretica pravità, che assolutamente reprimano e costringano qualunque contraddittore e ribelle con le censure e con le sopraddette pene, e con altri rimedii di diritto e di fatto, invocando anche a questo fine, se sarà necessario, l’aiuto del braccio secolare.
Vogliamo poi che alle copie della presente Costituzione, anche stampate, sottoscritte di mano di qualche notaio pubblico e munite del sigillo di persona costituita in dignità ecclesiastica, si presti la stessa fede che si presterebbe allo stesso originale se fosse esibito o mostrato.
Non sia dunque lecito ad alcuno violare questa Nostra dichiarazione di condanna, comando, proibizione e interdizione, o temerariamente contraddire ad essa. Se qualcuno osasse contrastare ciò, sappia che incorrerà nell’indignazione dell’Onnipotente Iddio e dei Beati Apostoli Pietro e Paolo.
Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, l’anno dell’Incarnazione di Nostro Signore 1794, il 28 agosto, anno ventesimo del Nostro Pontificato.
Magistero pontificio
PIO VI
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