DEL TIMORE SERVILE.
Della Penitenza, § 3.
XXV. La dottrina la quale genericamente afferma che il timore delle pene "soltanto non possa dirsi cattivo se arriva almeno a frenare la mano";
Quasi lo stesso timore dell’inferno, che la Fede insegna doversi infliggere al peccato, non sia in sé buono e utile, come un dono soprannaturale e un movimento ispirato da Dio, che prepara all’amore della giustizia;
FALSA, TEMERARIA, PERNICIOSA, INGIURIOSA DEI DONI DIVINI, ALTRA VOLTA CONDANNATA, CONTRARIA ALLA DOTTRINA DEL CONCILIO DI TRENTO, COME ANCORA AL COMUNE SENTIMENTO DEI PADRI, "ESSENDO D’UOPO" SECONDO L’ORDINE CONSUETO DELLA PREPARAZIONE ALLA GIUSTIZIA, "CHE ENTRI PRIMIERAMENTE IL TIMORE PER MEZZO DEL QUALE VENGA LA CARITÀ: IL TIMORE MEDICINA, LA CARITÀ SANITÀ" (S. Agostino, in Epist. Johan., c. 4; Tract. 9, n. 4, 5; in Johan. Evang., Tract., 41, n. 10; Enar. in Psal. 127, n. 7; Sermone 147, De Verbis Apostoli, c. 13; Sermone 161, De Verbis Apostoli, n. 8: Sermone 349, De Charitate, n. 7).
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DELLA PENA DI QUELLI CHE MUOIONO COL SOLO PECCATO ORIGINALE.
Del Battesimo, § 3.
XXVI. La dottrina che rigetta come una favola Pelagiana quel luogo dell’Inferno (che i fedeli comunemente chiamano Limbo dei fanciulli) nel quale le anime di coloro che muoiono con la sola colpa originale sono puniti con la pena di danno, senza la pena del fuoco;
Quasi che coloro i quali escludono la pena del fuoco, per questo stesso introducessero quel luogo e quello stato di mezzo privo di colpa e di pena fra il Regno di Dio e la dannazione eterna, come favoleggiavano i Pelagiani;
FALSA, TEMERARIA, INGIURIOSA ALLE SCUOLE CATTOLICHE.
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DEI SACRAMENTI, E PRIMIERAMENTE DELLA FORMA SACRAMENTALE CONDIZIONALE.
Del Battesimo, § 12.
XXVII. La deliberazione del Sinodo, con la quale sotto pretesto di attenersi agli antichi canoni dichiara la sua intenzione di non voler far menzione di formula condizionale nel caso di Battesimo dubbio,
TEMERARIA, CONTRARIA ALLA PRATICA, ALLA LEGGE, ALL’AUTORITÀ DELLA CHIESA.
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DELLA PARTECIPAZIONE alla VITTIMA NEL SACRIFICIO DELLA MESSA.
Della Eucaristia, § 6.
XXVIII. La proposizione del Sinodo con la quale, dopo aver stabilito "che una parte essenziale al Sacrificio è la partecipazione alla Vittima", soggiunge che "non condanna però come illecite quelle Messe nelle quali gli astanti non si comunicano sacramentalmente, atteso che essi partecipano sebbene in modo meno perfetto a questa Vittima, ricevendola con lo spirito";
In quanto insinua che manca qualche cosa all’essenza del Sacrificio che viene offerto senza assistenti, o essendovi presenti coloro che non partecipano né sacramentalmente, né spiritualmente della vittima: e quasi si dovessero condannare come illecite quelle Messe in cui il solo sacerdote si comunica, mentre nessun altro si comunica o sacramentalmente, o spiritualmente,
FALSA, ERRONEA, SOSPETTA DI ERESIA, E SA DI ERESIA.
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DELL’EFFICACIA DEL RITO DELLA CONSACRAZIONE.
Dell’Eucaristia, § 2.
XXIX. La dottrina del Sinodo in quella parte nella quale, cominciando ad esporre la dottrina della Fede circa il rito della Consacrazione, rimosse le questioni scolastiche sul modo in cui Gesù Cristo è nell’Eucaristia (dalle quali esorta i parroci che hanno l’incarico d’insegnare a volersene astenere), propone soltanto queste due cose: 1. Che Gesù Cristo dopo la consacrazione è veramente, realmente, sostanzialmente sotto le specie; 2. Che allora cessi tutta la sostanza del pane del vino rimanendovi le sole specie, ma omette completamente di menzionare la transustanziazione, ossia la conversione di tutta la sostanza del pane nel Corpo, e di tutta la sostanza del vino nel Sangue, quale il Concilio di Trento ha definito come articolo di Fede, e come si racchiude nella solenne professione di Fede;
Poiché per questa sconsiderata e sospetta omissione si sottrae la notizia di un articolo appartenente alla Fede, e anche di un vocabolo consacrato dalla Chiesa per conservare la professione di quell’articolo contro le eresie, e perciò tende ad indurre la dimenticanza di esso, come se si trattasse di una questione meramente scolastica;
PERNICIOSA, DEROGANTE ALL’ESPOSIZIONE DELLA VERITÀ CATTOLICA CIRCA IL DOGMA DELLA TRANSUSTANZIAZIONE, FAVOREVOLE AGLI ERETICI.
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DELL’APPLICAZIONE DEL FRUTTO DEL SACRIFICIO.
Dell’Eucaristia, § 8.
XXX. La dottrina del Sinodo con la quale mentre professa "di credere che l’offerta del Sacrificio si estenda a tutti, in maniera tale però che nella liturgia possa farsi speciale commemorazione di alcuni tanto vivi che defunti, pregando Iddio per essi in modo particolare", subito dopo soggiunge "non già che noi crediamo essere in arbitrio del sacerdote l’applicare i frutti del Sacrificio a chi egli vuole, anzi condanniamo questo errore come offensivo grandemente dei diritti di Dio, il quale solo distribuisce i frutti del Sacrificio a chi egli vuole, e secondo la misura che a lui piace" conseguentemente considera come "falsa l’opinione introdotta nel popolo secondo la quale coloro che fanno un’elemosina al sacerdote a condizione che egli celebri una Messa, ne ricevono un frutto speciale";
Intesa nel senso che l’oblazione speciale o l’applicazione del Sacrificio, fatta dal sacerdote, oltre la commemorazione particolare e la preghiera non servirebbe, a parità delle altre condizioni, più a quelli per cui è applicata che a tutti gli altri, come se nessun frutto speciale provenisse dall’applicazione speciale, raccomandata o ordinata dalla Chiesa per persone determinate o categorie determinate di persone, specialmente per i fedeli da parte dei loro pastori: il che dal Concilio di Trento è stato chiaramente espresso come derivante da precetto divino (Sess. 23, cap. I, De Reformatione; Bened. XIV nella costituz. Cum semper oblatas, § 2);
FALSA, TEMERARIA, PERNICIOSA, INGIURIOSA PER LA CHIESA, INDUCE NELL’ERRORE IN ALTRO TEMPO CONDANNATO IN WICLEFF.
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DELL’ORDINE CONVENIENTE DA OSSERVARSI NEL CULTO.
Dell’Eucaristia, § 5.
XXXI. La proposizione del Sinodo la quale dice essere conveniente, secondo l’ordine dei divini uffici e secondo l’antica consuetudine, che in ciascun tempio vi sia un solo altare; perciò gradirebbe che si ristabilisse tale uso;
TEMERARIA, INGIURIOSA AL COSTUME MOLTO ANTICO, PIO, VIGENTE DA MOLTI SECOLI PARTICOLARMENTE NELLA CHIESA LATINA, ED APPROVATO.
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Dell’Eucaristia.
XXXII. Similmente la prescrizione che proibisce di porre sugli altari reliquiarii o fiori;
TEMERARIA, INGIURIOSA AL PIO E APPROVATO COSTUME DELLA CHIESA.
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Dell’Eucaristia, § 6.
XXXIII. La proposizione del Sinodo, la quale mostra di desiderare che si tolgano quei motivi, per i quali si è in parte indotta la dimenticanza dei principi relativi all’ordine della liturgia, "col richiamarla ad una maggiore semplicità di riti, con esporla in lingua volgare, e con proferirla con voce alta";
Quasi che l’ordine vigente della liturgia ricevuto ed approvato dalla Chiesa provenga in parte dall’oblio dei principi sui quali essa deve reggersi;
TEMERARIA, OFFENSIVA DELLE PIE ORECCHIE, CONTUMELIOSA CONTRO LA CHIESA, FAVOREVOLE ALLE MALDICENZE DEGLI ERETICI CONTRO LA CHIESA STESSA.
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DELL’ORDINE DELLA PENITENZA.
Della Penitenza, § 7.
XXXIV. La dichiarazione del Sinodo con la quale, dopo aver premesso che l’ordine della Penitenza canonica fu stabilito dalla Chiesa in modo che, seguendo gli esempi degli Apostoli, fosse a tutti comune, né soltanto per punizione della colpa ma principalmente per disposizione alla grazia, aggiunge che "in quell’ordine meraviglioso ed augusto riconosce tutta la dignità di un Sacramento tanto necessario, sgombra dalle sottigliezze che vi si unirono col tempo";
Quasi che a cagione dell’ordine per cui, senza essersi fatto il corso della Penitenza canonica, questo Sacramento viene amministrato per tutta la Chiesa, ne fosse diminuita la dignità;
TEMERARIA, SCANDALOSA, INDUCENTE AL DISPREZZO DELLA DIGNITÀ DEL SACRAMENTO COME SOLITAMENTE VIENE AMMINISTRATO IN TUTTA LA CHIESA; INGIURIOSA PER LA CHIESA STESSA.
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Della Penitenza, § 10, n. 4.
XXXV. La proposizione concepita con queste parole: "Se la carità sul principio è sempre debole normalmente per ottenere l’aumento di questa carità il sacerdote deve far precedere quegli atti di umiliazione e di penitenza, che furono tanto raccomandati in ogni età dalla Chiesa. Il ridurre questi atti a poche orazioni o a qualche digiuno dopo aver già conferito l’assoluzione, sembra piuttosto un desiderio materiale di conservare a questo Sacramento il nudo nome di Penitenza, che un mezzo illuminato e valevole ad accrescere quel fervore di carità che deve precedere l’assoluzione. Noi siamo ben lontani dal disapprovare la pratica d’imporre penitenze da farsi anche dopo l’assoluzione; se ogni nostra opera buona viene sempre accompagnata dalle nostre mancanze, quanto più dobbiamo temere di non avere unite moltissime imperfezioni nell’opera difficilissima ed importante della nostra riconciliazione";
In quanto indica che le penitenze che si debbono compiere dopo l’assoluzione debbono essere considerate piuttosto come un supplemento per i difetti commessi nell’opera della nostra riconciliazione, che come penitenze veramente sacramentali e risarcitorie per i peccati confessati, quasi che per conservare la vera ragione del Sacramento, non il nudo nome, sia necessario ordinariamente salvare gli atti di umiliazione e di penitenza che vengono imposti quale soddisfazione sacramentale e che debbono precedere l’assoluzione;
FALSA, TEMERARIA, INGIURIOSA ALLA COMUNE PRATICA DELLA CHIESA, INDUCENTE NELL’ERRORE CONDANNATO CON NOTA ERETICALE IN PIETRO D’OSMA.
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DELLA PREVIA NECESSARIA DISPOSIZIONE PER AMMETTERE I PENITENTI ALLA RICONCILIAZIONE.
Della Grazia, § 15.
XXXVI. La dottrina del Sinodo con la quale, dopo aver premesso che "quando si avranno segni non equivoci dell’amore di Dio dominante nel cuore dell’uomo questi potrà con ragione essere ritenuto degno di essere ammesso alla partecipazione del Sangue di Gesù Cristo che si fa nei Sacramenti", aggiunge che "le pretese conversioni operate per contrizione solitamente non sono né efficaci né durevoli"; per conseguenza "il pastore delle anime dovrà attenersi a segni non equivoci di una carità dominante prima di ammettere ai Sacramenti i suoi penitenti"; quali segni, come dice poi, "il pastore potrà rilevare da una stabile cessazione dal peccato e dal fervore nelle opere buone" quel fervore di carità (Della Penitenza, § 10) come disposizione che "deve precedere l’assoluzione";
Così intesa, che non solo la contrizione imperfetta (che comunemente chiamasi attrizione) ma anche quella che sia congiunta con quell’affetto con cui l’uomo incomincia ad amare Dio come fonte di ogni giustizia, né solamente la contrizione formata dalla carità, ma anche il fervore della carità dominante e quello provato con lungo esperimento per mezzo del fervore nelle opere buone, generalmente ed assolutamente si devono richiedere affinché l’uomo sia ammesso ai Sacramenti, e specialmente i penitenti al beneficio dell’assoluzione;
FALSA, TEMERARIA, TURBATIVA DELLA QUIETE DELLE ANIME, CONTRARIA ALLA PRATICA SICURA ED APPROVATA NELLA CHIESA, DETRAENTE ED INGIURIOSA DELL’EFFICACIA DEL SACRAMENTO.
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DELL’AUTORITÀ DI ASSOLVERE.
Della Penitenza, § 10, n. 6.
XXXVII. La dottrina del Sinodo la quale, circa l’autorità di assolvere ricevuta per mezzo dell’ordinazione, dice che "dopo l’istituzione delle diocesi e delle parrocchie conviene che ognuno eserciti questo giudizio sopra persone a lui suddite o per territorio o per un personale diritto", giacché "l’operare diversamente introdurrebbe confusione e disordine";
In quanto dopo l’istituzione delle diocesi e delle parrocchie dice soltanto "essere conveniente a prevenire la confusione che il potere di assolvere si eserciti sopra i sudditi", così intesa come se al valido uso di questo potere non sia necessaria quella giurisdizione ordinaria o subdelegata, senza la quale il Tridentino dichiara di nessun valore l’assoluzione proferita dal sacerdote;
FALSA, TEMERARIA, PERICOLOSA, CONTRARIA AL TRIDENTINO, ERRONEA.
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Della Penitenza, § 11.
XXXVIII. Similmente la dottrina con la quale il Sinodo dopo aver professato "di non potere a meno di non ammirare quella tanto venerabile disciplina dell’antichità, che [come dice] alla penitenza non ammetteva così facilmente, e forse mai chi dopo il primo peccato e la prima riconciliazione ricadeva nella colpa", aggiunge che "per il timore di essere esclusi per sempre dalla comunione e dalla pace anche in pericolo di morte, un gran freno si apporrebbe a coloro che considerano poco il male del peccato e meno ancora lo temono";
CONTRARIA AL CANONE 13 DEL CONCILIO NICENO I, ALLA DECRETALE D’INNOCENZO I AD ESUPERIO TOLOSANO, COME ANCHE ALLA DECRETALE DI CELESTINO I AI VESCOVI DELLE PROVINCE DI VIENNA E DI NARBONA; RISENTE DELLA PRAVITÀ CHE IL SANTO PONTEFICE CONDANNA IN QUELLA DECRETALE.
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DELLA CONFESSIONE DEI PECCATI VENIALI.
Della Penitenza, § 12.
XXXIX. La dichiarazione del Sinodo che a proposito della confessione dei peccati veniali dice che è auspicabile che non sia troppo frequente per non rendere tali confessioni troppo spregevoli;
TEMERARIA, PERNICIOSA, CONTRARIA ALLA PRATICA DI UOMINI SANTI E PII, APPROVATA DAL SACRO CONCILIO DI TRENTO.
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DELLE INDULGENZE.
Della Penitenza, § 16.
XL. La proposizione la quale asserisce che "l’indulgenza nella sua precisa nozione non è che la remissione di una parte di quella penitenza che dai canoni veniva stabilita al peccatore";
Quasi che l’indulgenza, oltre la nuda remissione della pena canonica, non valga anche per la remissione della pena temporale dovuta alla divina giustizia per i peccati attuali;
FALSA, TEMERARIA, INGIURIOSA AI MERITI DI CRISTO, GIÀ CONDANNATA NELL’ARTICOLO 19 DI LUTERO.
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Ibidem.
XLI. Similmente in ciò che si soggiunge, che "gli scolastici, gonfi delle loro sottigliezze, inventarono quello strano tesoro, male inteso, dei meriti di Cristo e dei Santi, e sostituirono alla chiara idea di assoluzione dalla pena canonica quella confusa e falsa di applicazione dei meriti";
Quasi che i tesori della Chiesa per mezzo dei quali il Papa dà le indulgenze non siano i meriti di Cristo e dei Santi;
FALSA, TEMERARIA, INGIURIOSA AI MERITI DI CRISTO E DEI SANTI. GIÀ CONDANNATA NELL’ARTICOLO 17 DI LUTERO.
* * *
Ibidem.
XLII. Parimenti in ciò che aggiunge "essere ancora più lacrimevole che questa chimerica applicazione dei meriti si sia voluto far passare ai defunti;
FALSA, TEMERARIA, OFFENSIVA DELLE PIE ORECCHIE, INGIURIOSA CONTRO I ROMANI PONTEFICI, LA PRATICA E IL SENTIMENTO DELLA CHIESA UNIVERSALE, INDUCENTE NELL’ERRORE CONDANNATO CON NOTA ERETICALE IN PIETRO D’OSMA E DI NUOVO CONDANNATO NELL’ARTICOLO 22 DI LUTERO.
* * *
Ibidem.
XLIII. In quella parte infine in cui con somma impudenza inveisce contro le tabelle d’indulgenze, altari privilegiati, ecc.;
TEMERARIA, OFFENSIVA DELLE PIE ORECCHIE, SCANDALOSA, CONTUMELIOSA NEI CONFRONTI DEI SOMMI PONTEFICI, E DELLA PRATICA FREQUENTATA IN TUTTA LA CHIESA.
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DELLA RISERVA DEI CASI.
Della Penitenza, § 19.
XLIV. La proposizione del Sinodo la quale dice che "la riserva dei casi altro non è attualmente che un indiscreto legame per i sacerdoti inferiori, ed un’espressione vuota di senso per i penitenti, che sono assuefatti a non curarsi un gran che di questa riserva";
FALSA, TEMERARIA, STONATA, PERNICIOSA, CONTRARIA AL CONCILIO DI TRENTO, LESIVA DEL SUPERIORE POTERE GERARCHICO.
* * *
Ibidem.
XLV. Similmente della speranza secondo la quale, "riformati il rituale e l’ordine della penitenza non ci sarà più posto per simili riserve";
In quanto, attesa la genericità delle parole accenna che per la riforma del rituale e dell’ordine della penitenza fatta dal Vescovo o dal Sinodo possano abolirsi i casi che il Concilio di Trento (Sess. 14, cap. 7) dichiara aver potuto i Sommi Pontefici (per la suprema potestà loro data in tutta la Chiesa) riservare al loro particolare giudizio;
PROPOSIZIONE FALSA, TEMERARIA, DEROGANTE ED INGIURIOSA NEI CONFRONTI DEL CONCILIO DI TRENTO E DELL’AUTORITÀ DEI SOMMI PONTEFICI.
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DELLE CENSURE.
Della Penitenza, §§ 20, 22.
XLVI. La proposizione la quale asserisce che "l’effetto della scomunica è solamente esteriore, perché solo di sua natura esclude dall’esteriore comunicazione della Chiesa";
Quasi che la scomunica non sia pena spirituale, che lega nel cielo ed obbliga le anime (S. Agostino, Epist. 250, Auxilio Episcopo; Tract. 50 In Johann., n. 12);
FALSA, PERNICIOSA, CONDANNATA NELL’ARTICOLO 23 DI LUTERO, PER LO MENO ERRONEA.
* * *
Ibidem, §§ 21, 23.
XLVII. Similmente quella che dice essere necessario, secondo le leggi naturali e divine, che tanto alla scomunica quanto alla sospensione debba precedere un personale esame, e che perciò le cosiddette sentenze ipso facto non abbiano altra forza che di una seria minaccia senza alcun effetto attuale;
FALSA, TEMERARIA, PERNICIOSA, INGIURIOSA AL POTERE DELLA CHIESA, ERRONEA.
* * *
Ibidem, § 22.
XLVIII. Similmente quella che dice "essere inutile e vana la formula introdotta da alcuni secoli di assolvere in generale dalle scomuniche nelle quali potesse essere incorso il fedele";
FALSA, TEMERARIA, INGIURIOSA ALLA PRATICA DELLA CHIESA.
* * *
Ibidem, § 24.
XLIX. Similmente quella che condanna come nulle ed invalide "le sospensioni ex informata conscientia";
FALSA, PERNICIOSA, INGIURIOSA CONTRO IL TRIDENTINO.
* * *
Ibidem.
L. Parimenti in ciò che insinua non essere lecito al solo Vescovo far uso del potere, che pure gli accorda il Tridentino (Sess. 14, cap. 1 De Reform.), d’infliggere legittimamente la sospensione ex informata conscientia;
LESIVA DELLA GIURISDIZIONE DEI PRELATI DELLA CHIESA.
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DELL’ORDINE.
Dell’Ordine, § 4.
LI. La dottrina del Sinodo la quale dice che nel promuovere agli Ordini si era soliti osservare, secondo il costume e l’istituto dell’antica disciplina, questo metodo : "se qualche chierico si distingueva nella santità della vita e si giudicava degno di ascendere agli ordini sacri, si soleva promuoverlo al diaconato o al sacerdozio, benché non avesse i gradi inferiori, né allora lo si dichiarava ordinato per saltum, come si disse poi";
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Ibidem, § 5.
LII. Similmente quella che accenna non esservi stato altro titolo delle ordinazioni che la deputazione a qualche speciale ministero, come fu prescritto nel Concilio Calcedonense, soggiungendo (§ 6) che fino a quando la Chiesa si regolò con questi principi nella scelta dei sacri ministri, fiorì l’ordine ecclesiastico; peraltro sono passati quei bei giorni essendo stati introdotti nuovi principi, sui quali si corruppe la disciplina nella scelta dei ministri del santuario;
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Ibidem, § 7.
LIII. Similmente riporta fra questi stessi principi di corruzione l’essersi receduto dall’antico istituto per il quale, come dice (§ 3) la Chiesa, insistendo sulle tracce dell’Apostolo, aveva stabilito che nessuno venisse ammesso al sacerdozio se non aveva conservato l’innocenza battesimale;
In quanto accenna essersi corrotta la disciplina per mezzo dei decreti e degli istituti:
1. O con i quali sono state proibite le ordinazioni per saltum;
2. O con i quali sono state approvate, secondo la necessità e le comodità delle Chiese, le ordinazioni senza il titolo di speciale ufficio, come particolarmente dal Tridentino l’ordinazione a titolo di patrimonio, salva l’ubbidienza per la quale gli ordinati in questo modo sono tenuti a servire alle necessità delle Chiese prestando quei servizi ai quali, secondo il luogo e il tempo, siano stati assegnati dal Vescovo, come fin dai tempi apostolici si praticò nella Chiesa primitiva;
3. O con i quali a norma dei canoni si è fatta distinzione dei delitti che diversificano i delinquenti: quasi che la Chiesa per una tale distinzione si sia allontanata dallo spirito dell’Apostolo, non escludendo in generale e indistintamente dal ministero ecclesiastico tutti coloro che non avevano conservato l’innocenza battesimale;
DOTTRINA FALSA IN TUTTE LE SUE PARTI, TEMERARIA, PERTURBATIVA DELL’ORDINE INTRODOTTO PER LA NECESSITÀ E LA COMODITÀ DELLE CHIESE, INGIURIOSA DELLA DISCIPLINA APPROVATA DAI CANONI, E PARTICOLARMENTE DAI DECRETI DEL TRIDENTINO.
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Ibidem, § 13.
LIV. Similmente quella che taccia come turpe abuso il pretendere l’elemosina per celebrare Messe e amministrare Sacramenti e il ricevere qualunque provento detto di stola, e in genere qualunque stipendio od onorario che in occasione di suffragi o di qualunque funzione parrocchiale venisse offerto;
Quasi che i ministri della Chiesa dovessero tacciarsi come rei di delitto di turpe abuso, mentre essi – secondo il costume ricevuto ed approvato dalla Chiesa – si avvalgono del diritto promulgato dall’Apostolo di ricevere cose temporali da coloro ai quali si amministrano le cose spirituali;
FALSA, TEMERARIA, LESIVA DEL DIRITTO ECCLESIASTICO E PASTORALE, INGIURIOSA CONTRO LA CHIESA E I SUOI MINISTRI.
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Ibidem, § 14.
LV. Similmente quella con cui si dichiara di desiderare ardentemente che si trovi il modo di togliere dalle cattedrali e dalle collegiate il minuto clero (nome col quale denota i chierici degli ordini inferiori) provvedendo in altra forma, cioè per mezzo di laici probi e di maggiore età, assegnando loro un discreto onorario per servire le Messe e fare altri uffici, come di accolito, ecc., come, dice, si praticava una volta quando siffatti uffici non erano ridotti ad una formalità per ascendere agli ordini maggiori;
In quanto riprende la norma con la quale si provvede che "le funzioni degli Ordini minori si facciano o si esercitino soltanto da coloro che sono costituiti in detti ordini, o iscritti ad essi" (Concil. Provin. IV di Milano): e ciò in conformità del pensiero del Tridentino (Sess. 23, cap. 17) "affinché secondo i sacri canoni siano richiamate in osservanza le funzioni dei santi Ordini, dal diaconato all’ostiariato, lodevolmente ricevute nella Chiesa dai tempi apostolici, ed in molti luoghi per qualche tempo tralasciate, né dagli eretici si deridano come oziose";
SUGGERIMENTO TEMERARIO, OFFENSIVO DELLE PIE ORECCHIE, PERTURBATIVO DEL MINISTERO ECCLESIASTICO, DIMINUTIVO DELLA DECENZA DA OSSERVARSI PER QUANTO È POSSIBILE NEL CELEBRARE I MISTERI, INGIURIOSO CONTRO GLI UFFICI E LE FUNZIONI DEGLI ORDINI MINORI E LA DISCIPLINA APPROVATA DAI CANONI, E PARTICOLARMENTE DAL TRIDENTINO, FAVOREVOLE ALLE MALDICENZE E ALLE CALUNNIE DEGLI ERETICI CONTRO DETTA DISCIPLINA.
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Ibidem, § 18.
LVI. La dottrina la quale stabilisce parer conveniente che non si dovesse mai accordare né ammettere dispensa alcuna negli impedimenti canonici che provengono dai delitti espressi nel diritto;
LESIVA DELL’EQUITÀ E DELLA REGOLA CANONICA APPROVATA DAL SACRO CONCILIO DI TRENTO, DEROGANTE ALL’AUTORITÀ E AI DIRITTI DELLA CHIESA.
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Ibidem, § 22.
LVII. La prescrizione del Sinodo, la quale universalmente e senza distinzione alcuna rigetta come abuso qualunque dispensa, in forza della quale si conferisca allo stesso soggetto più di un beneficio di residenza, e aggiunge essere persuaso che secondo lo spirito della Chiesa nessuno possa godere più di un beneficio, ancorché semplice;
DEROGANTE PER LA SUA GENERALITÀ ALLA REGOLA DEL TRIDENTINO, SESS. 7, CAP. 5, E SESS. 24, CAP. 17. |