Alla ricerca dell’unità perduta
– sul problema dello scisma interno
di
Eberhard Heller
trad. A. Benedikter
Il titolo del presente articolo, che ricorda il titolo del libro di
Marcel Proust ("Alla ricerca del tempo perduto") dovrebbe sottolineare
il tema che ci proponiamo: una riflessione retrospettiva. Essa può
aiutare, nella situazione attuale, a riconquistare terreno perduto,
qualora al di là dei problemi religioso-ecclesiastici giornalieri ci si
renda ancora conto in quale difficile condizione ci troviamo tutti
quanti. Ciò ha condotto ad un fatalismo ecclesiale che di giorno in
giorno si fa sentire di più: ci si trova letteralmente pigiati nel
proprio centro di messa, senza contatti e prospettive per quanto
concerne la ricostruzione della Chiesa e persino la costruzione di
strutture comunitarie. Dove abbiamo sbagliato? Possono essere riparati
gli errori commessi? Siamo noi pronti a rivedere le nostre proprie
impostazioni? Ma non soltanto noi cristiani cattolici che affermiamo,
in parte a bocca piena, di essere i veri cristiani, no, tutta la
società occidentale si trova in una profonda crisi spirituale, la quale
si ripercuote anche sulla nostra crisi ecclesiale.
Si può criticare come paralizzante la mancanza di autorià e di guida
tra i cristiani cattolici che asseriscono di voler rimanere fedeli alla
Chiesa di Gesù Cristo – spesso il dissenso viene deplorato a più alta
voce da coloro che lo hanno addirittura determinato con la loro brama
di ottenere autorità e con la loro mancanza di disciplina –, ma allora
ci si dovrebbe redere conto che la mancanza di cooperazione e guida
pastoral-ecclesiastica si ritrova principalmente presso coloro il cui
compito, in quanto curatori d’anime, sarebbe in verità quello di
dirigere il gregge come pastori e di esercitare l’autorità spirituale
ad essi conferita con l’assunzione dell’ufficio
sacerdotale/vescovile... per il bene della Chiesa intera e non solo per
la somministrazione dei scaramenti in una comunità-nicchia settaria.
Presso una fila di vescovi (senza le virgolette) un atteggiamento
sbagliato particolarmente grave, relativo all’ufficio assunto, ha avuto
effetti disastrosi sui nostri sforzi per la ricostruzione della Chiesa
come istituzione di salvezza: cioè la concezione secondo la quale i
poteri ottenuti con la consecrazione sarebbero soltanto a disposizione
personale autorizzando a consecrare a vescovo a propria discrezione. Da
questa concezione errata tra le nostre file sono scaturiti gravi
risvolti sbagliati.
Non per nulla la consecrazione (e la nomina – cfr. CIC, canone 329 § 2)
di nuovi vescovi è riservata al papa perché ne dipende l’esistenza e la
struttura gerarchica della Chiesa nel suo complesso, per cui devono
essere guidate dal centro. Il CIC del 1917 nel canone 953 prescrive
obbligatoriamente: "La consecrazione episcopale è riservata al papa.
Senza incarico speciale del papa nessuno può consecrare a vescovo." 1)
Le contravvenzioni vengono considerate normalmente e giustamente come
ribellione contro l’autorità suprema e contro l’unità della Chiesa e
come atti scismatici, venendo quindi colpite da sanzioni. 2)
Allorché Mgr. Ngô-dinh-Thuc consecrava, senza formale mandato
pontificio – a causa della vacanza della sede apostolica – i primi
vescovi (padre Guérard des Lauriers il 7.5.1981, i padri Carmona e
Zamora il 18.11.1981 – cioè 20 anni fa), ciò avvenne esclusivamente per
salvare la successione apostolica minacciata. I problemi connessi con
la sedisvacanza e la necessità, condizionata da essa, di consecrare
senza mandata pontificio, vennero successivamente discussi ampiamente
anche in vista della situazione ecclesiale generale di allora. 3) Ciò
nonostante da diverse parti (da semplici tradi-zionalisti, ma anche, il
che era più pericoloso, da certi legalisti) si levò il rimprovero che
Mgr. Ngô-dinh-Thuc ed altresì i padri consecrati a vescovi agissero in
maniera scimatica. La motivazione vera e propria della mancanza del
mandato pontificio venne infine fornita nella DECLARATIO sulla
sedisvacanza rilasciata ufficialmente dallo stesso Mgr. Ngô-dinh-Thuc
il 28.2.1982.
Da diverse parti venne (e viene fino ad oggi) affermato che la
DECLARATIO avrebbe dovuto essere pubblicata prima delle consecrazioni
perché soltanto in base all’assunzione di questo atteggiamento esse
potevano essere considerate giustificate. Le persone che ragionano così
suppongono che la posizione assunta dall’arcivescovo al tempo della
prima consecrazione sia stata diversa da quella assunta all’epoca della
redazione della DECLARATIO. Questa concezione non può essere accettata:
giá in occasione della nostra prima visita presso il Mgr. Thuc,
effettuata in compagnia con il rev. dott. Katzer (nel frattempo
defunto), il quale si era messo a disposizione quale primo candidato
per la consecrazione, si discusse ampiamente sulla sedisvacanza, sulla
minacciata successione apostolica e sulla falsificazione della santa
messa e vennero concordate le posizioni, e soltanto su questa base
vennero eseguite le successive consecrazioni.
D’altra parte le circostanze concrete non permettevano altra soluzione
che quella di eseguirle segretamente (basta pensare in questo contesto
alla fuga precipitosa dell’arcivescovo in Germania, perché giustamente
temeva persecuzioni, dopo che le consecrazioni erano state rilevate per
tradimento alla stampa da parte del p. Barbara, ma anche al suo
successivo rapimento dal seminario di Rochester/USA).
Ma per esprimere che si condivideva la motivazione teologica e
giuridica della competenza del papa per le consecrazioni episcopali,
visto che l’occupazione delle sedi vescovili è un interesse della
Chiesa universale, venne concordato tra i vescovi, quale equivalente
per il mancante mandato papale, che le successive consecrazioni
episcopali sarebbero state eseguite soltanto previo assenso di tutti i
vescovi. Durante la vacanza della sede romana il collegio dei vescovi
doveva rappresentare la Chiesa universale. Le ordinazioni sacerdotali
invece rimasero nell’ambito di responsabilità dei singoli vescovi,
anche perché i relativi sacerdoti rimanevano sottoposti direttamente
alla loro autorità.
Così le consecrazioni successive di fr. Musey, p. Vezelis, p. Martinez
e p. Bravo vennero eseguite dal Mgr. Carmona e rispettivamente dal
vescovo Musey (assistito dal Mgr. Carmona) soltanto previa
interpellazione di S.E. il Mgr. Ngô-dinh-Thuc e con il suo esplicito
assenso. Il movente decisivo per queste consecrazioni era l’obiettivo
della ricostruzione delle strutture ecclesiastiche ma anche la volontà
di conservare l’unità della Chiesa. Lo documentano i tentativi dei
vescovi Vezelis e Musey di delimitare le reciproche sfere di influenza,
anche se così facendo veniva strapazzato il concetto della
"giurisdizione" ordinaria.
Questo modo di procedere, cioè di procedere a consecrazioni episcopali
soltanto previo l’assenso di tutti gli altri vescovi quale equivalente
del mandato pontificio mancante, venne disatteso per la prima volta dal
Mgr. Guérard des Lauriers allorché procedette alla consecrazione del
rev. dott. Storck persino contro le espresse riserve sollevate dal Mgr.
Vezelis. Questi si era appositamente recato ad Etiolles presso Parigi
per comunicare le sue perplessità al Mgr. Guérard des Lauriers.
Dopo la consecrazione del rev. Storck il Mgr. Lauriers si lasciò
indurre, su indicazione di una signora anziana, a consecrare il p.
McKenna, più tardi l’ex éconeista Munari, il quale nel frattempo ha
completamente abbandonato l’ufficio episcopale e quello sacerdotale.
Anche dalla consecrazione del p. McKenna era stato messo in guardia.
Con questo modo di procedere il Mgr. Guérard des Lauriers aveva smesso
di considerare la consecrazione di un vescovo quale decisione della
Chiesa universale rappresentata dal collegio dei vescovi., facendone un
affare personale, cioè rimettendola alla decisione di un singolo
vescovo. Naturalmente non si può attribuire dignità giuridicamente
vincolante a quell’organo rappresentativo provvisorio che è il collegio
dei vescovi, tuttavia non esito neanche un attimo a qualificare
scismatico, almeno in maniera latente, un tale comportamento, in
analogia alla concezione del CIC secondo la quale le consecrazioni
episcopali sono riservate al papa (e nel caso in cui sussistevano da
parte del Mgr. Guérard des Lauriers soltanto interessi personali – sul
che esistono ipotesi legittime – il suo comportamento sarebbe da
qualificare addirittura quale settario); perché qui si è coscientemente
violato il principio dell’unità.
Passando una volta tanto in rassegna le azioni di quel periodo, per es.
le consecrazioni episcopali con le quali doveva essere assicurata la
successione apostolica e la Declaratio di S.E. Mgr. Ngô-dinh-Thuc, con
la quale venne tracciata una chiara linea di separazione rispetto alla
cosiddetta ‚chiesa conciliare‘, azioni che avrebbero dovuto condurre ad
una chiara svolta nella nostra lotta ecclesiale, non si può non
constatare che a causa delle vie stravaganti imboccate dal Mgr. Guérard
des Lauriers l’unità tra i vescovi è andata perduta e quindi la forza
di percussione della nostra lotta ha subito un danno notevole. Con la
sua teoria del papa materialiter, non formaliter, G. des Lauriers aveva
artificialmente scatenato un’ulteriore disputa 4). E senza la coesione
è andata perduta anche l’autorità, che veniva cioè parcellata. Ed è da
questo punto che si dovrebbe partire per ricomporre l’unità.
Era alquanto vergognoso per la resistenza il fatto che successivamente
i vescovi sulla cui consecra-zione non vi erano dubbi, a loro volta
consecravano, senza accordo con gli altri vescovi, candidati che si
distinguevano per ignoranza teologica e deficienza morale – ad alcuni
si consigliava di ritirarsi dietro le "cortine svedesi". Questi vennero
poi presentati al popolo meravigliato dei fedeli come cosiddetti
vescovi della linea Thuc appartenenti alla resistenza. In realtà non
sono altro che settari cattolicizzanti. Con questo modo di successione,
col quale ciascun vescovo consecra un candicato di sua scelta senza
tener conto dell‘esigenza della ricostruzione della Chiesa, si è
sviluppato un penetrante scisma interno che ha quasi fermato la
ricostruzione. 5) Assumendo questo punto di vista critico ed esaminando
l’elenco dei vescovi consecrati, si deve constatre che soltanto pochi
possono essere considerati vescovi della Chiesa cattolica.
Un esempio particolarmente grave di un tale comportamento scismatico ma
anche settario lo ha dato il vescovo dott. López-Gastón con le
consecrazioni da lui ricevute e rispettivamente impartite. 6) Accanto
al semplice problema della validità sacramentale che si può concedere
senz’altro anche a chi è effettivamente scismatico, ma anche a molti,
ma non a tutti i settari, egli ha completamente trascurato il fatto che
non tenendo conto della liceità od illiceità degli atti di
consecrazione se ne nega la rilevanza ecclesiastica.
Ancora peggio di questo esplosivo ‚scismatico‘ è il settarismo
introdotto nella resistenza dall’ambizione e dalla vanità di diversi
chierici i quali, trascinati dalla loro brama di ottenere autorità, si
sono lasciati consecrare da un cosiddetto vescovo della linea Thuc,. A
questi signori non importava se i loro consecratori erano vescovi
effettivi o soltanto vescovi con le virgolette o pretesi vescovi
prove-nienti dagli ambienti dei chierici vaganti. Alcuni ottennero
anche l’appoggio dei sostenitori della teoria della cosiddetta
"intenzione esterna". A questi vescovi (o ‚vescovi‘) importa
soprattutto portare una mitra che li autorizzi a raccogliere soldi
presso i fedeli. Un caso particolarmente grave è rappresentato dal
cosiddetto vescovo Roux che ha falsificato il suo documento
consecratorio attestando di essere stato consecrato dal Mgr.
Ngô-dinh-Thuc, mentre questi in quel periodo si trovava presso di noi a
Monaco. (Dopo una consecrazione "sub conditionale" [sic!], da allora
agisce in Francia dove si è reso noto come "Mgr. Tartuffe"). 7) È
diventato un caso criminale il cosiddetto vescovo Franck che doveva
essere presentato ai fedeli tedeschi come il vescovo della resistenza
per antonomasia, mentre si palesava che non poteva essere parola della
validità della sua consecrazione (nel frattempo è finito in carcere nel
Belgio, condannato per stupro di bambini). Questo settarismo e
rispettivamente questo problema dei chierici vaganti è penetrato come
un carcinoma nella resistenza vera. Mi meraviglio sempre di più come
questi settari vengano addirittura venerati quali custodi del Gral.
Le turbolenze che si registrano nel campo dei sedevacantisti vengono
ulteriormente fomentate da un gruppo di chierici che per es. hanno
abbandonato Écone rendendosi conto del fatto che un eretico non può
essere riconosciuto come autorità. Ma a questo passo coerente il più
delle volte fa seguito un secondo passo meno coerente. Invece di
sforzarsi per essere accolti nella cerchia dei loro confratelli
sedevacantisti (accantonando per intanto il problema della validità
delle loro ordinazioni), essi cominciano a raccogliere, come singoli,
una schiera di pecorelle di solito poco informate. Si preoccupano poco
delle strutture ecclesiali già esistenti. Solo raramente sono disposti
ad una cooperazoine. Questo comportamento dà la prova del fatto che
anche questo gruppo è costituito da settari cattolicizzanti.
Accetto volontieri il rimprovero di giudicare in maniera troppo
radicale. Prego soltanto tutti i critici a svolgere fino in fondo il
seguente esperimento concettuale: supponiamo che si fosse davvero
riusciti ad installare di nuovo un’autorità legittima, cioè un papa
validamente eletto. Quale di tutti questi chierici ‚autonomi‘,
‚indipendenti‘, che proclamano così a bocca piena la loro mentalità
ecclesiale, che affermano di predicare solo la dottrina della Chiesa,
sarebbe disposto a sottomettersi a questo papa? Non si verificherebbe
piuttosto una situazione in cui tutti questi signori cercherebbero dei
pretesti per conservare la loro indipendenza, cioè per continuare
indisturbati il loro settarismo?
Questi atteggiamenti sbagliati (‚scisma‘ interno, settarismo, chierici
vaganti, la cosiddetta ‚indipen-denza‘) ed i comportamenti che ne
derivano hanno fatto sì che esiste ormai una fila di vescovi, ma non
esiste alcuna autorità, e che si sono formati numerosi gruppi, ma non
si è formata alcun genere di comunità e neanche di unità ecclesiale. Le
attività di cui sopra per forza di cose sono rimaste e rimarranno senza
successo, perché su imprese del genere non ci può essere alcuna
benedizione divina. L’idea secondo la quale la Chiesa è un unico
organismo spirituale complessivo, un "corpo mistico" per dirla con Pio
XII, le cui membra sono collegate tra di loro, è andata perduta. E mi
permetto di far criticamente notare che per ora non vedo dove uno dei
vescovi agisca in base alla preoccupazione per il bene universale della
Chiesa.
Sia chiaro che a me importa soltanto far vedere cosa occorra fare, dal
punto di vista di sedevacantisti coerenti, per ricostruire le strutture
ecclesiali, compresa la formazione di comunità e di grandi federazioni
ecclesiali nonché la elezione di un papa anche se non si sapesse ancora
come eseguire una tale elezione. 8)
Un miglioramento di questa situazione ecclesiale, lacerata sotto più
aspetti, è raggiungibile soltanto se si inizia un ripensamento. Sarebbe
già molto se ogni chierico iniziasse a porsi seriamente la questione di
come possa motivare e giustificare il suo agire pastorale concreto in
vista della problematica ecclesiale universale (peraltro rinunciando ad
argomentare che "i fedeli hanno bisogno dei sacramenti", perché la
questione relativa a ciò di cui hanno bisogno i fedeli non può essere
risolta se non in connessione con il chiarimento della problematica
ecclesiale), per creare così almeno il presupposto teologico e mentale
per un agire responsabile, il quale deve comprendere una cooperazione
fruttifera con gli altri sacerdoti e vescovi. Abbiamo cercato di
dimostrare come si potrebbe presentare il risultato di una tale
riflessione. Per l’inizio si sarebbe già guadagnato molto se i chierici
interessati si rendessero conto del fatto che non possono lecitamente
fare tutto quello che sono in grado di fare, cioè se comprendessero che
possono esercitare i loro poteri spirituali non ex proprio ma soltanto
per incarico della Chiesa, quali suoi incaricati, se si considerassero
portatori di un ufficio a loro conferito per mandato. Un’essenziale
meta interlocutoria sarebbe il riconoscimento del fatto che essi si
trovano in un certo qual dilemma costituito dal fatto che potrebbero
lecitamente agire solo per incarico della Chiesa, per mandato
dell’autorità 9), ma che a questa chiesa manca oggi l’autorità
incaricatrice.
Senza questo ricollegarsi alla Chiesa qualsiasi atto d’ufficio diventa
un atto recante il timbro dello scisma (o del settarismo). Con ciò si
ripropone la questione dell’autorità e dell’unità perdute. Nella nuova
"Dichiarazione" abbiamo cercato di dimostrare quale sia la via d’uscita
dal dilemma tra incarico sacerdotale da una parte e mancante autorità
dall’altra. In ordine all’incarico sacerdotale occorre precisare: "Da
un lato manca al momento la giurisdizione ecclesiastica, necessaria per
l’assolvimento di questo compito, essendo la gerarchia caduta in
apostasia, dall’altro lato l’assolvimento di tale compito costituisce
il presupposto indispensabile per la restituzione dell’autorità della
Chiesa. Questa restituzione dell’autorità ecclesiastica è però
richiesta dalla volontà salvifica di Cristo. A mio avviso il dilemma
può essere risolto solo se tutte le attività finora svolte vengono
fatte rientrare nella riserva di una successiva, definitiva
legittimazione da parte della gerarchia restituita. Così, per esempio,
la celebrazione della messa e la somministrazione dei sacramenti
possono venire provvisoriamente giustificate in quanto fanno parte del
progetto della restituzione globale della Chiesa come istituzione
salvifica e saranno sottoposte ad un successivo giudizio da parte della
legittima autorità restituita. La somministrazione ed il ricevimento
dei sacramenti (inclusa la celebrazione e la partecipazione alla santa
messa) sarebbero perciò illeciti se fossero compiuti senza riferimento
a questa unica giustificazione possibile, malgrado la loro validità
sacramentale."
Notas:
1) Ai sensi del canone 954 il consecratore all’atto
della consecrazione deve servirsi dell’assistenza di due altri vescovi,
i quali agiscono da co-consecratori (e non solamente da testimoni),
cioè devono eseguire sostanzialmente tutti quegli atti consecratori
eseguiti anche dal consecratore principale (cfr. in merito la
costituzione "Episcopalis consecrationis" di Pio XII del 30.11.1944 –
AAS, XXXVII, p. 131-132).
2) Cfr. CIC, canone 2370 a): "Se un vescovo impartisce ad un altro la
consecrazione episcopale senza aver ricevuto il mandato pontificio
all’uopo previsto dal canone 953, egli è senz’altro sospeso fino a
quando la Sede Apostolica non lo dispensa da questa sanzione."
3) Cfr., tra l’altro: "Offener Brief von Mgr. Carmona an Bischof
Cortés" ("Lettera aperta del Mgr. Carmona al vescovo Cortés"), EINSICHT
XII/3 dell’ott. 1982; "Ein Brief von Bischof Carmona" ("Una lettera del
vescovo Carmona") XII/4 del dic. 1982; Heller, Eberhard: "Einige
Anmerkungen zu den von Mgr. Ngô-dinh-Thuc und Mgr. Carmona gespendeten
Bischofsweihen" ("Alcune note relative alle consecrazioni episcopali
impartite dal Mgr. Ngô-dinh-Thuc e dal Mgr. Carmona") XII/3 dell’ott.
1982, pagg. 101 ss.; "Wo stehen wir?" ("A che punto ci troviamo?")
XII/6 del marzo 1983.
4) Questa tesi, fortemente relativizzata se non addirittura revisionata
dal suo autore prima della sua morte, si aggira tuttora nelle menti dei
padri di Verrua Savoia (Italia), in particolare del rev. Ricossa.
5) Costituisce in certo qual modo un’eccezione il Mgr. Pivarunas che ha
almeno presentato pubblicamente l’intenzione di consecrare a vescovi
l’abbé Dolan e, successivamente, il p. Dávila, consentendo di
dis-cutere sui candidati.
6) Solo le ricerche particolareggiate del signor Jerrentrup hanno
portato alla luce che non ci sono dubbi relativamente alla validità
delle consecrazioni, sebbene López-Gastón costruisca la sua successione
episcopale con persone chiaramente settarie.
7) Le sue azioni clamorose si possono seguire su Internet, dove vengono registrate accuratamente.
8) Contrariamente ai sedevacantisti (coerenti), gli éconisti si muovono
all’interno di una contraddizione insanabile. Prescindendo per una
volta da certe posizioni errate o dalle analisi mancanti nel campo
della teologia sacramentale, essi da una parte ammettono la necessità
della presenza di un’autorità mandante. Per tale motivo essi
riconoscono per es. Giovanni Paolo II quale papa, ma poi gli negano
l’obbedienza concreta affermando di non poter obbedire le sue
disposizioni. Il concetto di un papa (cioè di una suprema autorità)
alla quale non occorrerebbe obbedire, integra la fattispecie
dell’eresia. E per superare tale eresia, i signori Schmidberger e
Aulagnier fra poco vorranno dire al loro papa ciò che egli può/deve a
loro comandare, affinché essi possano obbedire a lui... di gran lunga
la soluzione più elegante!
9) Il dibattito relativo all‘"una cum" nel "Te igitur" del Canon
Missae, nel corso del quale si è chiarito che la messa può essere
lecitamente detta solo per mandato ed in unione con l’autorità – cfr.
il contributo di p. Guérard des Lauriers, "Christus novum instituit
Pascha...", su EINSICHT X/3 del sett. 1980 -, dovrebbe ormai aver
affinato, e da tempo, la consapevolezza di questa problematica.
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